Ti ho amato dal primo istante...

Ti ho amato dal primo istante...

martedì 30 aprile 2013

piove, piove ...

Piove, piove,
la gatta non si muove, si accende 
il lumicino e si dice ... Buon mattino!
Piove,piove,
la gatta non si muove,
si accende la candela e
si dice... Buona sera! 


Ve la ricordate cari mamme e papa' questa cantilena?! ;-) A me la canticchiava mia nonna quando pioveva come sta piovendo oggi... e l'ho canticchiata anche al mio pastrugno... soprattutto in questi giorni in cui la pioggia non vuole lasciarci... ;-) 


IL PICCOLO PESCIOLINO

C’era una volta tanto tanto tempo fa in un mare lontano, un piccolo pesciolino, molto piccolo e molto colorato. Vagava per i sette mari alla ricerca di tranquillità, dato che tutti i pesci più grossi di lui volevano mangiarselo. Un giorno incontrò un grande squalo, forse il più grande di tutti i sette mari, si avvicinò a lui e con un filo di voce gli chiese se poteva difenderlo dagli altri pesci più grandi di lui. Lo squalo si girò per vedere chi era che parlava, quando scorse un piccolissimo pesciolino, si mise a ridere e gli chiese: “perché non posso mangiarti io?” Il pesciolino rispose: “non riusciresti neanche a sentire il mio gusto, invece io posso accompagnarti per i sette mari alla ricerca di cibo.” “Va bene” esclamò lo squalo. Girovagando per i sette mari un bel giorno arrivano vicino a una profondissima fossa di cui non si riusciva neanche a vederne il fondo. Mentre i due amici scrutavano la fossa all’improvviso uscì una gigantesca balena che alla vista dei due pesci aprì la bocca e li mangiò in un boccone. Il pesciolino piccolo molto spaventato chiedeva allo squalo “ma dove stiamo andando?” “Guarda che neanche io so dove finiremo” esclamò lo squalo. All’improvviso in lontananza videro una lucina e, avvicinandosi, notarono le figure di due persone. Ad un tratto il pesciolino riconobbe una sagoma familiare a molti bambini: era Pinocchio. Il piccolo pesciolino chiese a Pinocchio come mai era nella pancia della balena. Pinocchio rispose che per salvare il suo babbo finirono tutti e due nella pancia della balena, però oramai non avevano più legna per scaldarsi tranne che due enormi tronchi che erano gli alberi della nave dove erano imbarcati. Il pesciolino si girò verso lo squalo e disse “rompili tu con i tuoi denti che, se riusciamo a fare un grande falò, forse riusciamo ad uscire tutti dalla pancia della balena, però tu devi promettere che non cercherai di mangiarti i nostri nuovi amici.” Lo squalo diede il suo assenso e cominciò a rompere i tronchi. Geppetto diede fuoco a tutti i pezzettini di legno e un grande fuoco si sviluppò nella pancia della balena, la quale cominciò a tossire e sputare fuori tutto quel fuoco che aveva nella pancia. Uscirono anche i nostri amici. A quel punto i quattro abitanti della balena furono in fondo al mare aperto. La balena fuggì via, ma lo squalo cominciò ad avere fame e rivolgendosi verso Pinocchio e Geppetto disse: “ora ho fame e penso che vi mangerò.” Allora il pesciolino si mise davanti allo squalo e disse: “dovrai passare su di me per mangiare i miei amici.” Lo squalo si mise a ridere e aprì la bocca in modo spaventoso, ma a quel punto arrivò la fata dei sette mari e guardando il piccolo pesciolino gli si rivolse con dolci parole: “caro piccolo pesciolino, il tuo coraggio verrà premiato anche per tutto l’amore che risiede dentro di te.” Con un colpo di bacchetta magica trasformò il piccolo pesciolino nella più grande balena bianca di tutti i tempi, la quale mise in fuga lo squalo, e salvò i suoi due nuovi amici portandoli a riva. Pinocchio e la balena bianca si ritrovarono tutti gli anni nella stessa spiaggia, e Pinocchio chiedeva alla sua amica nuovi racconti marini sulla caccia delle balene, ma questa è un’altra favola.


IL PESCIOLINO D'ORO

C’era una volta un vecchio pescatore. Abitava con la moglie in una casupola vicino al mare. Erano molto, molto poveri. Il pescatore andava tutti i giorni in riva al mare e gettava la sua rete. La moglie invece rimaneva a casa a filare e a lavorare nell’orto.
Un giorno, il pescatore gettò la rete e trascinandola a riva la sentì particolarmente pesante. La sua sorpresa fu grande quando si rese conto che la rete era vuota: c’era soltanto un pesciolino d’oro.
Era proprio un pesce tutto d’oro. Prima che il pescatore si potesse riprendere dallo stupore, il pesciolino parlò: “Lasciami andare, ti supplico. Vedrai, non avrai da pentirtene. Chiedimi quello che vuoi e io esaudirò i tuoi desideri.”
Il vecchio pescatore, che nonostante tutti gli anni passati in mare non aveva mai sentito parlare un pesce, disse: “Non ti preoccupare, pesciolino. Non avrei mai osato catturarti, sei così piccolo… Ti lascio libero: torna pure a nuotare felice tra le onde.”
Il pescatore liberò il pesciolino dalle maglie della rete e tornò a casa.
Quando lo vide tornare senza nulla, la moglie gli chiese: “Come mai non hai preso niente? Marito mio, sai che abbiamo poco da mangiare.”
Il marito allora le raccontò che cosa gli era capitato quella mattina: “Povero pesciolino, non ho avuto cuore di trattenerlo e l’ho lasciato andare, senza chiedere in cambio alcuna ricompensa.”
“Sei solo un vecchio idiota!” disse la moglie, andando su tutte le furie. “Lo sai che viviamo nella miseria più nera e ci manca anche il pane. E tu, sciocco che sei, ti sei fatto sfuggire un’occasione simile.”
La donna tanto gli riempì la testa di lamenti che il pover’uomo, il giorno dopo, andò in riva al mare e chiamò il pesciolino.
“Pesciolino, pesciolino, vieni e mostra il tuo capino, e perdonami l’ardire: ho un desiderio da esaudire.”
Dopo poco, il pesciolino d’oro sbucò tra le onde e disse: “Dimmi di che cosa hai bisogno, vecchio, e io ti accontenterò.”
“Abbi pazienza, signor pesce. Mia moglie si è arrabbiata con me perché ieri non ti ho chiesto nulla. Siamo molto poveri e in casa non c’è da mangiare: potresti procurarci del pane?”
Allora il pesce gli disse: “Torna a casa e non preoccuparti. Troverai quanto mi hai chiesto.”
Il vecchio pescatore andò a casa e trovò il tavolo apparecchiato e tanto pane da sfamare un intero villaggio.
Tutto contento, il buon uomo disse alla moglie: “Hai visto che il tuo desiderio è stato esaudito? Adesso hai tutto il pane che vuoi: possiamo mangiarne per un mese di fila e darlo anche ai nostri vicini.”
Ma la donna, invece di rallegrarsi, si arrabbiò: “Sei proprio uno sciocco, un buono a nulla. Che cosa pensi che possa farmene di tutto questo pane? Si seccherà e ammuffirà. Io non ho nemmeno un catino per lavare i panni, perché quello che avevo si è bucato, e tu vai a chiedere solo pane.”
Il poveretto, tormentato dalle urla e dai rimproveri della moglie, uscì di casa.
Arrivato in riva al mare, il vecchio pescatore si sedette e chiamò di nuovo il pesce d’oro:
“Pesciolino, pesciolino, vieni e mostra il tuo capino, e perdonami l’ardire: ho un desiderio da esaudire.”
Il mare era increspato e il cielo si era riempito di nuvole. Il pesciolino d’oro, saltando lieve da un’onda all’altra, arrivò vicino alla riva, levò il capino e disse: “Vecchio, che cosa è successo? Il pane forse non bastava? In ogni caso, esprimi il tuo desiderio e io lo esaudirò.”
“La mia vecchia si è lamentata perché il suo catino è vecchio e bucato. Non potresti procurargliene uno nuovo?” disse il pover’uomo, imbarazzato.
“Torna a casa e non preoccuparti. Troverai quanto mi hai chiesto.” rispose il pesce.
Il vecchio tornò a casa, e non fece in tempo a varcare la soglia che la moglie si scagliò contro di lui, urlando: “Sei proprio un vecchio stupido, un buono a nulla. Ma che cos’hai i quella zucca vuota? Non hai saputo chiedere nient’altro che un catino nuovo, con tutto quello che ci manca. Prima il pane e ora il catino. Ma non vedi in che stato viviamo? Non vedi che la casa cade a pezzi e piove dal tetto? Torna subito dal pesciolino e chiedigli una casa nuova.”
Al vecchio non restò che ubbidire. Tornò sulla riva del mare e chiamò il pesciolino d’oro:
“Pesciolino, pesciolino, vieni e mostra il tuo capino, e perdonami l’ardire: ho un desiderio da esaudire.”
Il mare intanto si era ingrossato e soffiava un forte vento. Cavalcando un’onda schiumosa, il pesciolino scivolò verso la riva e chiede: “Vecchio, che cosa c’è che non va, ora? Non andava bene il catino nuovo per tua moglie? In ogni caso, esprimi il tuo desiderio e io lo esaudirò.”
“Perdonami, pesciolino, quando sono arrivato a casa, la mia vecchia era arrabbiata. Non le basta più il catino nuovo: vuole una casa, adesso. Dice che la capanna dove viviamo è vecchia e cade a pezzi, e ne desidera una nuova.”
Non appena il pescatore ebbe finito di parlare, il pesce gli disse: “Torna a casa e non preoccuparti. Troverai quanto mi hai chiesto.”
Il vecchio pescatore si avviò verso casa, più sollevato.
Accanto all’orto del pescatore e della moglie la vecchia capanna era sparita. Al suo posto sorgeva un’isba nuova di legno di betulla, con le persiane intarsiate, il portico, il tetto spiovente coperto di pietre lucide. Una vera bellezza.
Il pescatore si affrettò verso la moglie, che era sulla soglia, aspettandosi di vederla lieta e sorridente. Ma la vecchia sembrava più rabbiosa che mai.
Lo accolse gridando: “Tu, vecchio sciocco, ti accontenti solo di una modesta isba di legno? Io non voglio più fare la contadina, sono stufa di questa vita di stenti. Torna subito dal pesciolino e digli che voglio… voglio diventare la moglie del governatore.”
Con passo stanco, il pescatore tornò sulla riva. Il mare s’era fatto ancora più grosso e minaccioso, e anche il cielo cominciava a oscurarsi. L’uomo si fece forza e chiamò il pesciolino:
“Pesciolino, pesciolino, vieni e mostra il tuo capino, e perdonami l’ardire: ho un desiderio da esaudire.”
Il pesciolino arrivò cavalcando un grosso cavallone e disse: “Dimmi, pescatore. Non era abbastanza la nuova isba? A tua moglie non è piaciuta? Comunque, esprimi il tuo desiderio e io lo esaudirò.”
“Perdona il mio ardire, pesciolino. La mia vecchia adesso si è messa in testa che un’isba non basta più, e non vuole più fare la contadina. Dice che vuole diventare nientemeno che la moglie del governatore.”
“Torna a casa e non preoccuparti. Troverai quanto mi hai chiesto” disse il pesciolino d’oro.
Il pescatore tornò a casa e invece dell’isba di legno trovò una grande dimora di pietra, con uno scalone di marmo. Salì le scale, superò un lungo corridoio, entrò in una sala e lì vide la vecchia moglie. Quasi non la riconobbe: i poveri vestiti di cotone erano spariti; la donna era vestita di seta e broccato, portava orecchini scintillanti e una collana di perle, e le sue mani erano cariche di anelli d’oro e gemme preziose.
Ai lati della dama c’erano due servi in livrea e una schiera di domestici e domestiche pronti ai suoi ordini.
L’uomo intimorito, si inchinò davanti a lei e le disse: “Come sei diventata bella, moglie mia. Spero che tu sia soddisfatta, ora. Hai ricevuto in dono quanto hai voluto: sei vestita degli abiti più belli, hai dei servitori che ti obbediscono e grandi ricchezze.”
Ma la vecchia, sempre più ambiziosa e superba, gli disse: “Come osi parlarmi in questo modo, vecchio impertinente? Come osi chiamarmi tua moglie, quando sono diventata la moglie del governatore? Servi, portatelo nelle scuderie: d’ora in poi si prenderà cura dei miei cavalli.”
E così il pover’uomo venne trascinato nelle scuderie, frustato e poi abbandonato in un angolo, in compagnia dei cavalli. Passò una settimana, e poi un’altra e un’altra ancora. Il vecchio si era rassegnato a fare lo stalliere e svolgeva i suoi compiti senza lamentarsi, quando un mattino fu mandato a chiamare: doveva presentarsi davanti alla moglie, o meglio, alla moglie del governatore.
La vecchia era già stanca di essere la moglie del governatore. Non le bastava nemmeno questo. Perciò, quando il pescatore fu davanti a lei, gli disse: “Vecchio, ti ho mandato a chiamare perché devi fare un’altra cosa per me. Sono stufa di essere la moglie del governatore. Devi andare dal pesciolino d’oro e chiedergli di farmi zarina. Sì, voglio diventare molto potente, potentissima, la più potente: voglio essere la moglie dello zar.”
Per poco l’uomo non svenne. Poi trovò il coraggio di ribattere: “Vecchia, sei impazzita? Non ti basta essere diventata una gran dama, no: ora vuoi diventare zarina. Non ti ricordi più che fino a poco tempo fa raccoglievi le verdure nell’orto?”
La vecchia andò su tutte le furie, chiamò i servitori e fece frustare ancora il poveretto che, rassegnato e dolorante, si avviò verso il mare.
Quando il pescatore arrivò alla riva, il mare era diventato nero come la pece e i fulmini cadevano all’orizzonte. Onde scure e minacciose si frantumavano a riva. L’uomo chiamò il pesciolino:
“Pesciolino, pesciolino, vieni e mostra il tuo capino, e perdonami l’ardire: ho un desiderio da esaudire.”
Il pesciolino uscì dalle acque schiumanti, si avvicinò a riva e disse: “Dimmi, buon vecchio. Tua moglie non è forse soddisfatta di essere diventata una gran dama? Che altro vuole ancora? Dimmelo, e io esaudirò il tuo desiderio.”
“Perdona la mia richiesta, ma a quella vecchia pazza non basta essere una ricca dama: ora dice che vuole diventare zarina.”
“Torna a casa e non preoccuparti. Troverai quanto mi hai chiesto” disse il pesciolino d’oro, e si tuffò nelle acque scure.
Il pescatore tornò con passo stanco verso casa. Davanti a lui sorgeva il palazzo più sfarzoso che avesse mai visto. Al posto della costruzione di pietra c’era una reggia enorme: le mura, le porte, le finestre e i tetti erano tutti d’oro massiccio. Davanti al portone era srotolato un lunghissimo tappeto di velluto; ai suoi lati due file di guardie dall’aspetto terribile, armate di lunghe alabarde.
Il pover’uomo raccolse tutto il suo coraggio, camminò sull’interminabile tappeto ed entrò nel palazzo dello zar, scortato da due guardie. Attraversò corridoi e sale e finalmente si trovò nella sala del trono.
Di fronte a lui, sopra una poltrona d’oro massiccio tempestata di gemme preziose, era seduta la vecchia moglie. Era avvolta in un lungo manto di zibellino, in testa portava una corona di diamanti e la mano destra reggeva lo scettro del comando.
Il pover’uomo si inchinò al suo cospetto e disse: “Mia potente sovrana, zarina che regni su tutto il nostro popolo, ora che si è avverato il tuo ultimo desiderio, lasciami tornare a vivere nella mia capanna in riva al mare e riprendere il mio vecchio mestiere di pescatore.”
La zarina lo guardò e con voce alta e tagliente disse: “Vecchio, come osi formulare un desiderio di fronte alla tua regina? Guardie, prendetelo e frustatelo. Poi chiudetelo nelle prigioni di corte e lasciatelo lì fino a quando mi piacerà.”
Subito due soldati presero il poverino e lo portarono fuori del palazzo.
Il vecchio venne trascinato via dalle guardie, e al suo passaggio un gruppo di popolani si fece beffe di lui tra urla e schiamazzi.
Il pescatore non aveva mai subito tante umiliazioni in vita sua. Le guardie lo portarono nei sotterranei della prigione, dove venne prima frustato e poi rinchiuso in una stanza senza finestre.
Passarono i giorni, passarono le settimane, e il vecchio deperiva sempre di più.
Un giorno però le porte della prigione vennero aperte, e il vecchio pescatore fu di nuovo trascinato fino alla reggia, nella sala del trono. Lì, in ginocchio, aspettò tremante che la zarina parlasse.
Senza esitare, la zarina disse: “Vecchio, non mi piace più essere la sovrana. Sono stanca di feste di corte, sono stanca delle richieste del popolo. Non mi basta più essere zarina e governare su queste terre: voglio molto di più. Và dal tuo pesciolino d’oro e ordinagli di farmi diventare la signora di tutti i mari. Voglio vivere in un palazzo nelle profondità dell’oceano e avere il pesciolino d’oro al mio servizio.”
Di fronte a tanta follia, il poveretto non osò replicare. Ormai conosceva la sete di potere della moglie, la sua ambizione e la sua ferocia. Senza dire una parola, dopo un profondo inchino, si congedò da lei e andò sulla riva del mare.
Il pescatore non aveva mai visto il mare tanto nero e minaccioso. Cavalloni alti come palazzi si abbattevano contro gli scogli. Il cielo era di piombo, l’acqua schiumava.
L’uomo chiamò il pesciolino d’oro:
“Pesciolino, pesciolino, vieni e mostra il tuo capino, e perdonami l’ardire: ho un desiderio da esaudire.”
Il pesciolino emerse da un gorgo profondo e chiese: “Cosa vuoi ancora da me, vecchio?”
“Perdonami, pesciolino, ma mia moglie, la zarina, non è ancora contenta. Non le basta più essere sovrana. Ora vuole diventare signora del mare, vuole vivere nelle profondità ed essere servita e riverita da te.”
Il pesciolino non disse una parola. Voltò la coda e si tuffò nelle acque turbinose del mare.
A lungo il vecchio aspettò. Attese paziente, perché non aveva avuto alcuna risposta dal pesciolino d’oro.
Dopo una notte, un giorno e una notte di attesa, il pescatore si incamminò verso la reggia, pensando alla triste sorte che lo aspettava.
E lì, invece di una triste sorte, trovò ad attenderlo una sorpresa. La reggia era sparita: non c’erano più mura, finestre, tetti d’oro. Era scomparso anche l’esercito di guardie. Al posto del palazzo trovò la sua misera catapecchia. Sull’uscio era seduta la moglie, vestita di poveri abiti cenciosi, intenta a lavare i panni in un vecchio catino bucato…


Ricky va in piscina



Oggi Ricky va a nuotare in piscina, insieme alla sua mamma e ai suoi amici.
Ricky porta la sua sacca da solo! Ricky e la mamma vanno nello spogliatoio e lì la mamma aiuta Ricky a togliersi i vestiti e a mettersi il costume da bagno. La mamma aiuta Ricky ad infilare la cuffia. "Sei pronto, Ricky? Andiamo?" chiede la mamma. Prima bisogna farsi la doccia. Brrr! L'acqua è fredda e schizza dappertutto. Ricky tiene gli occhi ben chiusi! 
In piscina si sente molto rumore. Ricky ha paura. Beh, un po' ... tanto così ... o forse un briciolo in più.
Nella piscina dei bambini c'è un elefante rosa che, con la sua proboscide, spruzza acqua. Che solletico!
C'è anche uno scivolo. Che bello scivolare fino in acqua! SPLASH!
Ci sono anche bambini grandi in piscina. Si agitano un po' troppo. Ricky chiude forte forte gli occhi. Ma vicino a lui e ai suoi amici c'è Alice, la maestra del gruppo. Ricky è tranquillo e felice. Nuotare è bello!
E' ora di tornare a casa. Ricky vorrebbe rimanere ancora. "La prossima settimana verremo di nuovo!" promette la mamma.

lunedì 29 aprile 2013

IL REGNO DELLA LUNA

C’era tanto tempo fa, in un regno lontano, un Re molto potente che aveva una figlia bellissima. La principessa si era innamorata di un ragazzo gentile come un sole, ma poverissimo. I due giovani si volevano molto bene, ma quando il Re lo venne a sapere andò su tutte le furie perché quella era la sua unica figlia e aveva promesso a sua moglie la Regina, salita in cielo anni prima, che le avrebbe trovato un marito degno di lei. A sera fece portare il ragazzo al suo cospetto e gli disse: “Tu hai osato guardare mia figlia che, come la luna in una notte senza stelle, sola risplende rischiarando il cielo intero della sua bellezza; ora io ti condanno a guardare nient’altro che il sole per tutto il resto della tua misera vita! Portatelo via!” Quattro gendarmi lo presero e lo portarono nel giardino della reggia e lì lo infilarono in una buca a metà busto e una vecchia strega gli fece un maleficio e il ragazzo si addormentò. Al risveglio era trasformato in un girasole. Il sole stava sorgendo ed egli non potè sottrarsi dal girare la sua corona di petali dritto in faccia al sole. Quando la principessa lo venne a sapere pianse tanto che quasi ne morì. Ogni mattina scendeva in giardino dal suo amato girasole ma la sua bellezza sfioriva di giorno in giorno per l’immenso dolore. Suo padre, il Re, se ne disperava, ma neanche lui poteva farci nulla. In poco tempo tutto il popolo venne a sapere del maleficio e il giardino della reggia divenne presto meta di pellegrinaggio e tutti avevano una parola di conforto per la principessa e per il girasole. La cosa più triste era che il girasole, accecato per tutto il giorno dalla luce abbagliante, quando al crepuscolo il sole calava a ponente, non poteva far altro che chinare il capo e guardare a terra; così non aveva mai più visto la luna, unico specchio della sfiorita bellezza della sua amata principessa. Ma una sera arrivò, portata a spalla da dei popolani, una vecchia anzianissima e molto saggia con un piccolo specchio d’avorio intarsiato di perle e con voce flebile disse alla principessa: “Stanotte sarà una notte senza stelle ma di luna piena, usa questo specchio per mostrarla al tuo amato girasole. Solo tu che hai il cuore puro potrai salvarlo.” La principessa la ringraziò e le baciò le mani come a una madre. Quella notte il girasole rivide finalmente la luna splendente riflessa nello specchio tenuto dalla sua amata e l’incantesimo si sciolse: il girasole ridivenne il bellissimo ragazzo che era e la principessa riprese forza e bellezza e la sua pelle tornò bianca come l’avorio e i suoi occhi ricominciarono a brillare come perle. Il Re, felice della ritrovata salute della figlia, invitò tutti i popolani del suo regno nell’enorme giardino della reggia e lì, con grandi feste e banchetti, fece sposare sua figlia col povero ragazzo e gli consegnò il regno intero. I due sposi governarono con cuore puro e il Regno della Luna divenne il posto più felice della Terra.
 
 

PERCHE' I PIPISTRELLI VOLANO DI NOTTE (fiaba africana).

Tanto tempo fa, gli uccelli avevano cominciato a non andare d'accordo con tutti gli altri animali: litigavano spesso e si facevano molti dispetti.

I pipistrelli, in tutta questa confusione, non sapevano da che parte stare, perché, come sapete, essi hanno le ali come gli uccelli, ma i denti come gli altri animali.
Ma visto che simpatizzavano per gli uccelli, i pipistrelli, infine, scelsero di stare dalla loro parte.
Gli uccelli, però, non li volevano vicino, perché li consideravano diversi da loro.
"Non avete il becco e avete i denti!" - dicevano.
"Ma abbiamo le ali!" - specificavano i pipistrelli.
Dopo alcune insistenze, gli uccelli li accettarono.

Nella guerra che si era scatenata, gli altri animali ebbero la meglio.
I pipistrelli volarono da loro perché erano i vincitori.
"Noi siamo dalla vostra parte!" - dissero i pipistrelli.
"Voi non siete animali, come noi: siete uccelli, perché avete le ali!" - risposero leoni ed elefanti che comandavano i vincitori della guerra.
"Guardate i nostri denti: sono come i vostri!" - replicarono i pipistrelli e mostrarono i piccoli canini.
Ma gli animali li cacciarono ugualmente.
Anche gli uccelli non li vollero più dalla loro parte perché si erano comportati da traditori.

Senza nessun gruppo al quale unirsi, i pipistrelli restarono soli, tristi e vergognati: allora cominciarono ad evitare di mostrarsi durante il giorno e decisero di volare e cacciare soltanto di notte.

Ed anche oggi fanno ancora così...


Il fucile che non voleva sparare

C'era una volta un cacciatore, che aveva comprato un fucile nuovo.
Una mattina ando' nel bosco per provare il suo nuovo fucile: voleva sparare a tutti gli uccellini che incontrava.
Arrivato nel bosco il cacciatore si nascose fra gli alberi, imbraccio' il fucile e comincio' ad aspettare con pazienza.
Non passo' molto tempo che vide arrivare una rondine.
Era una mamma rondinella che volava in cerca di cibo per i suoi rondinini.
Solitamente non si spara alle rondini, ma quel giorno il cacciatore era così ansioso di provare il suo nuovo fucile che avrebbe sparato a qualsiasi animale, e cosi' prese la mira sul povero uccellino.
Il fucile pero' era fatato, e quando vide la rondinella che andava in cerca di cibo per i suoi figliolini, si impietosi' e decise di non ucciderla.
Il cacciatore punto' il fucile, tiro' il grilletto e... phum!!!!! Il fucile emise un forte botto, ma nessun colpo parti'.
La rondinella volo' via spaventata ma... viva!
Passo' un altro uccellino, e di nuovo il cacciatore prese la mira, tiro' il grilletto e booom!!! un altro forte rumore ma nessun proiettile parti' dal fucile; anche questo uccellino volo' via sano e salvo.
"Ma cosa succede al mio fucile, non spara!" disse il cacciatore ed apri' l'arma per controllare che fosse tutto a posto.
Tutto nel fucile funzionava alla perfezione, l'uomo lo ricarico' con le cartucce nuove, e riprese a sparare agli uccellini.
Phum! Phum! Phum phum phum!!!!!! spara e spara ma non colpiva niente.
Il fucile faceva solo un gran fracasso, ma neanche un pallino usciva dalla canna.
Tutto quel rumore servi' solo a spaventare gli uccelli che, avendo capito che li' c'era un cacciatore, andarono tutti a nascondersi.
Dopo qualche minuto non vi era piu' un uccellino in volo!
Il cacciatore si arrabbio'. "Maledizione! Questo dannato fucile non spara un solo colpo. Domani mi sentiranno in armeria!"
Stava per ricontrollare il fucile ma si blocco', bianco in volto per la paura.
Intorno a lui volava un insetto mostruoso.
Il cacciatore sapeva di essere allergico alle punture di insetto. Se quel mostro lo avesse punto, per lui non ci sarebbe stato scampo: lo avrebbe assalito uno shock anafilattico e sarebbe morto fra atroci dolori.
L'uomo era da solo, nel bosco non c'era nessuno a cui potesse chiedere aiuto, e quella mattina, nella fretta di uscire di casa per andare nel bosco a provare il suo nuovo fucile, aveva anche dimenticato di mettere la pomata per proteggersi dagli insetti e di prendere il cellulare; non poteva chiamare i soccorsi nel caso si fosse sentito male.
Penso' di uccidere l'insetto che gli ronzava ancora attorno minaccioso, ma aveva paura: se si fosse mosso e avesse sbagliato il colpo, il mostro lo avrebbe punto di sicuro per difendersi, e per lui sarebbe stata la fine.
"Mio Dio salvami!" prego' il cacciatore in preda al panico.
Ad un tratto senti' un frullìo d' ali., Vide arrivare in picchiata una rondine che... zac! Finalmente! Aveva trovato un ghiotto insetto da portare per pranzo ai suoi rondinini!
La mamma rondinella afferro' sicura l'insetto col becco e volo' via, verso il suo nido, dove la aspettavano affamati i suoi piccoli rondinini.
Il cacciatore tiro' un sospiro di sollievo. Ancora non riusciva a credere di essere scampato al pericolo mortale!
Aveva riconosciuto l'uccellino che lo aveva salvato; era la rondine che prima lui aveva tentato di abbattere col suo fucile.
"Meno male che non l'ho uccisa!" penso' il cacciatore con il cuore colmo di gratitudine.
In quel momento promise a se stesso e a Dio che mai piu' avrebbe sparato a un animale.
Il cacciatore scavo' una buca, ci butto' dentro il fucile, copri' la buca con la terra e se ne torno' a casa, dalla sua famiglia, felice come non lo era mai stato, perche' si sentiva piu' buono.
Passarono i mesi, gli anni.
Il fucile sotto la terra mise radici, e divento' un bellissimo albero, enorme, pieno di fiori e di frutti profumati.
Tanti uccellini fecero il nido fra i rami di quell'albero bellissimo, dove i proiettili dei cacciatori non arrivavano mai a colpirli.
Quando il vento soffiava fra i rami di quell'albero fatato, si udiva un canto che diceva cosi':
 
"io sono il fucile che non voleva sparare,
ad una rondine che volava nel cielo.
Cercava il cibo per i suoi rondinini,
e nel trovarlo salvo' il cacciatore:
ama la vita,
vivi col cuore!" ♥ 

FAVOLA D’AMORE

Ho scritto il 24.11.1998 una ... FAVOLA D'AMORE... Alcune cose sono di pura fantasia di Mamma Mi e alcune cose risultano vere...  (*prima che il cielo mi donasse te, pastrugno mio, io e papà avevamo scelto i nomi per i nostri figli: se nasceva un maschietto l'avremmo chiamato Riccardo, se nasceva una femminuccia l'avremmo chiamata Giulia).


C’era una volta un principe, di nome Franco, molto ricco e potente. Dopo la morte del padre sarebbe diventato lui l’erede indiscusso di un regno vastissimo e potentissimo. Franco veniva istruito ed educato per amministrare il suo futuro regno, ma a lui non interessava tutto ciò, lui non voleva essere così ricco. Lui desiderava essere libero di decidere cosa fare senza alcun consigliere intorno, libero di indossare qualsiasi abito avesse a disposizione senza che nessun servitore gli imponesse la sua volontà, libero di giocare o lavorare o dormire o rotolarsi per terra tutto il giorno … tutto questo per lui era libertà e proprio a lui, il figlio del re era negata.
Una mattina d’inverno, il re morì e dopo un mese di lutto, fu celebrata una grande festa per la successione al trono del legittimo erede, ma al momento dell’incoronazione ci fu una grande sorpresa. Franco si alzò in piedi e, presa la corona dalle mani dell’incoronatore, disse che lui non sarebbe divenuto re ed incoronò lui stesso Andrea, il suo migliore amico e consigliere. Da quel giorno pensava di aver conquistato la sua tanto desiderata libertà, ma se ne pentì, poiché capì che Andrea non era mai stato suo vero amico, lo era stato soltanto in apparenza per accattivarsi la simpatia di Franco. Però, ora che il legittimo erede al trono aveva deciso di abdicare a suo favore poteva fare a meno di mentire facendo credere di essere sempre stato amico di Franco. Fu un sovrano tremendo e tutto il popolo reclamava il legittimo erede che aveva abdicato, ma nessuno riusciva a trovarlo, perché lui non voleva farsi trovare, voleva riuscire a vivere la sua vita con le sue sole possibilità, con le sue sole forze. Viveva in un villaggio sconosciuto dove aiutava un piccolo proprietario terriero a curare gli animali della fattoria e a lavorare i campi. Franco si dava da fare a più non posso per imparare il più possibile dal suo benefattore, Giovanni, e tutti alla fattoria gli volevano un gran bene ignorando completamente che lui fosse il solo e legittimo erede al trono al cui regno apparteneva anche quel piccolo villaggio ai confini estremi.
Un giorno arrivò al villaggio, dopo un lungo e faticoso viaggio, Eros, sovrano del regno vicino e amico, dai tempi dell’infanzia, di Franco. Eros era alla ricerca del suo amico da parecchio tempo e finalmente lo trovò alla fattoria di Giovanni. Alla fattoria ci fu una grande festa in onore dei due amici, ma Eros ricevette una brutta notizia: Franco non aveva intenzione di abbandonare i suoi amici e Giovanni, lui ora stava bene ed era se stesso per la prima volta in vita sua.
Dopo un paio di giorni di riposo, Eros ripartì senza Franco. Giunto a destinazione, gli venne incontro Iris, l’amica di Miriam, la fanciulla che aveva sempre avuto una forte ammirazione per il principe Franco. Gli portava una brutta notizia che però poteva essere anche bella, perché era una possibilità di far ritornare Franco al posto che gli spettava.
A Miriam era stato fatto un incantesimo. E solo il principe ereditario Franco poteva liberarla. Alla fanciulla era stato chiesto prepotentemente di sposare il sovrano Andrea che desiderava riuscire ad avere dei legittimi eredi al trono. Purtroppo, il tentativo ebbe esito negativo, perché Miriam non intendeva assolutamente diventare regina al fianco del malvagio Andrea, che aveva ingannato la buona fede del suo eroe, il principe Franco. Così, la fanciulla subì l’incantesimo dell’aquila. Poteva essere una persona soltanto alle prime luci dell’alba, ma poi si trasformava in un’aquila enorme, così non sarebbe potuta essere la sposa di nessuno. In questo modo, però, la pensava Andrea il malvagio, ma non era così, perché il principe Franco avrebbe potuto salvarla portandole un enorme mazzo di fiori di ogni colore al primo bagliore di luce mattutina entro l’ultimo giorno d’inverno. Purtroppo, però, Eros, si sarebbe dovuto affrettare, poiché l’inverno stava finendo e poi bisognava trovare al più presto un enorme mazzo di fiori di ogni colore in un periodo dell’anno come l’inverno che non offriva molte qualità di fiori … Era un’impresa ardua, ma Eros sapeva che Franco ce l’avrebbe fatta e aveva ragione. Infatti, Franco ce l’avrebbe fatta, perché era un uomo puro di cuore, ma solo a patto che desiderasse realmente tornare e diventare re.
Dopo due giorni di viaggio, Eros giunse al villaggio dove si trovava Franco e gli raccontò immediatamente tutta la storia. Gli disse anche delle malvagità esercitate dallo strapotere del sovrano Andrea sul popolo. Sperava di riuscire a convincerlo. Franco non disse nulla all’amico. Per un paio di giorni non volle vedere nessuno. Ripensò a tutta la sua vita e a quanto fu sciocco da parte sua abbandonare tutto, perché così facendo lasciò anche l’unica persona che, dopo i suoi genitori, l’aveva amato più di ogni altra cosa al mondo. Ed ora, si chiedeva se, dopo averla liberata dall’incantesimo, sarebbe stata felice di rivederlo … Decise di raccontare le sue paure all’amico. Eros ascoltò con pazienza Franco e poi emise una forte risata, perché gli disse che le sue erano paure che aveva solo lui, poiché Iris gli aveva detto che Miriam quando non era trasformata in aquila chiedeva spesso di lui …
Così, questa volta Eros tornò al regno con l’amico, dopo aver raccolto i fiori. Si affrettarono, poiché l’ultimo giorno d’inverno era vicino. E, dopo aver tolto l’incantesimo a Miriam, ci fu una grande rivoluzione popolare a favore del principe Franco, per far perdere il trono al malvagio Andrea. Ci fu una sanguinosa battaglia che si concluse con la vittoria dell’esercito popolare e l’incoronazione del re Franco.
Dopo l’incoronazione, fu elargito un enorme banchetto nuziale: Franco e Miriam si unirono in matrimonio. E dopo un paio d’anni nacquero i loro eredi: Claudia, Filippo, Riccardo e Giulia*. E vissero felici e contenti.

LA BELLA E LA BESTIA - Una fiaba di Madame Le Prince de Beaumont.

C’era una volta un ricco mercante. Era rimasto vedovo e aveva tre figlie. Le prime due erano avide e arroganti; la terza invece, che si chiamava Bella, era molto buona, la gioia e la consolazione del padre, e suscitava l’invidia delle sorelle.
Per la sua dolcezza, Bella aveva molti pretendenti, ma rifiutava con garbo ogni proposta di matrimonio perché desiderava passare ancora qualche anno accanto al vecchio padre. Invece le altre due, che si davano un sacco di arie, erano superbe con tutti i pretendenti e non trovavano mai nessuno che fosse al loro livello.
Purtroppo il mercante ebbe un rovescio di fortuna. Una tremenda tempesta provocò il naufragio delle navi che trasportavano le sue mercanzie. L’uomo fu soffocato dai debiti e dovette vendere la sua lussuosa casa di città e trasferirsi in campagna, in una dimora modesta.
Bella, seppur rattristata, reagì alla nuova vita con coraggio: si rimboccò le maniche e diventò ancora più affettuosa nei confronti del padre. Le sue sorelle invece non facevano altro che lamentarsi perché non potevano più permettersi una vita lussuosa, tanto più che una volta ridotte in povertà tutti i loro pretendenti erano spariti.
Dopo un anno, nella casa di campagna arrivò una lettera: annunciava al mercante che una delle navi date per disperse era giunta in porto con le mercanzie. L’animo del brav’uomo si riaccese di speranza. Quella stessa sera preparò i bagagli per andare in città.
A quella notizia anche le figlie esultarono, soprattutto le due più grandi. “Padre, mi raccomando: ora che siamo tornati ricchi, portaci un regalo. Io voglio un mantello di pelliccia e dei cappellini nuovi” disse la maggiore. “Io invece vorrei dei vestiti e una borsetta, e anche un paio di guanti” disse l’altra.
“Figlie mie, una nave è soltanto una nave, e non so se ci farà tornare ricchi come un tempo” tentò di replicare il mercante. Ma le due continuarono con un lungo elenco di richieste: e gioielli, e merletti, e scarpine di seta …
“E tu, Bella, che cosa desideri? Non vuoi qualcosa anche tu?” domandò allora il padre alla più piccola, che se ne stava silenziosa in un angolo senza chiedere niente.
Bella in verità non desiderava nulla, ma per non far sfigurare le avide sorelle pensò di chiedere un piccolo regalo.
Così disse al padre: “Poiché sei così buono da pensare a me, portami un ramoscello di rose: non ne crescono nel nostro orto e, magari, se riesco a trapiantarle …”
La mattina dopo, il mercante partì di buon’ora, ma appena arrivato a destinazione scoprì che le mercanzie recuperate bastavano a malapena a coprire i debiti e a ripagare i marinai. Due giorni dopo, quando riprese la strada di casa, era più povero di quando era partito.
Il mercante era quasi arrivato a casa: ormai non mancavano che poche miglia quando cominciò a nevicare. La neve si fece sempre più fitta, fino a trasformarsi in una vera e propria bufera; in poco tempo ricoprì il sentiero e il buon uomo di perse. Dopo aver vagato a vuoto per ore e ore, rischiando di morire assiderato o sbranato dai lupi, finalmente intravide un lume in fondo a un viale alberato. Il mercante seguì la luce e si ritrovò davanti a un bellissimo palazzo. Riparò il cavallo nella scuderia ed entrò, in cerca del padrone di casa. Si fermò accanto al camino acceso nel salone per riscaldarsi, nell’attesa che qualcuno si presentasse. Ma non arrivò nessuno. Stanco per il viaggio e affamato, l’uomo si sedette a tavola, che era preparata e imbandita, e cenò.
“Chiederò scusa al padrone non appena lo incontrerò, e lo ringrazierò per la sua squisita ospitalità” pensò.
Dopo aver mangiato, cercò una camera per riposarsi e si coricò.
Il mattino dopo, al risveglio, il mercante ritornò nel salone, dove trovò la tavola apparecchiata per la colazione.
Guardando fuori dalla finestra, vide che la neve si era sciolta ed era tornato il sole. “Adesso devo andare, ma tornerò per ringraziare il padrone di casa” si disse.
Quando uscì nel giardino, passò accanto a un magnifico roseto e, ricordando la richiesta della figlia più piccola, si avvicinò per prenderne un ramo.
Aveva appena staccato una rosa quando sentì un ruggito e vide avanzare verso di lui un essere orrendo, così terrificante da farlo quasi svenire per lo spavento.
Era la Bestia, il signore di quel luogo.
“Ingrato! E’ così che ricambi la mia ospitalità?” gridò la Bestia, avventandosi su di lui. “Io ti ho salvato la vita e tu rubi le rose del mio giardino. Pagherai questo affronto con la morte!”
“Perdonami, signore, non volevo offenderti” balbettò il mercante, cadendo in ginocchio. “Non intendevo affatto rubare, desideravo soltanto portare una rosa alla più giovane delle mie figlie, che me l’ha chiesta.”
“Non chiamarmi signore, vedi bene che essere mostruoso hai davanti. Chiamami Bestia: è ciò che sono. Hai detto che hai delle figlie. Bene. Se una delle tue figlie verrà qui al tuo posto di sua spontanea volontà, avrai salva la vita. Vai, ora. Ma se tua figlia non si presenterà, dovrai tornare da me di qui a tre mesi.”
Il mercante lo ringraziò con la morte nel cuore. Stava per congedarsi quando la Bestia aggiunse: “Non voglio che tu te ne vada a mani vuote. Torna nella tua camera. Troverai un baule: riempilo pure di tutto ciò che vuoi. Penserò io a mandartelo a casa.”
Il mercante fece quanto gli aveva detto la mostruosa creatura e, tornato in camera, trovò il baule, che riempì di gioielli e monete d’oro. “Se proprio devo morire, darò un avvenire sereno alle mie figlie” si disse, e poi, ripreso il suo cavallo, tornò a casa.
Le figlie gli corsero incontro facendogli festa e il buon uomo ricambiò i loro abbracci. Poi porse il ramo di rose a Bella e disse: “Figlia mia, purtroppo queste rose mi sono costate carissime” e raccontò tutto quanto era successo dopo la sua partenza.
Le sorelle maggiori, indignate, si scagliarono contro la sorella, ma la piccola rassicurò il padre: “Padre mio, io sono disposta a sacrificare la mia vita pur di salvare la tua. Non ti preoccupare: domani stesso partirò per il palazzo della Bestia.” Il padre cercò di dissuaderla, ma fu inutile. Le sorelle invece esultarono, perché avevano sempre detestato Bella e quella era una magnifica occasione per sbarazzarsi di lei.
Quando si ritirò nella sua camera, il mercante vide che la Bestia era stata di parola. Ai piedi del letto c’era il forziere pieno di monete e preziosi. Rivelò la cosa solo a Bella, che con la sua consueta bontà propose al padre di usare quel denaro per maritare le sorelle, perdonando la loro gelosia.
Il mattino dopo, Bella e il padre partirono. Le sorelle nascosero a stento la loro contentezza. Quando arrivarono al palazzo, tutto si ripeté come la prima volta: ripararono il cavallo nella scuderia ed entrarono nella grande sala, dove li attendeva la tavola apparecchiata e coperta di cibi squisiti.
Non c’era nessuno ad accoglierli: la Bestia non si fece vedere.
“Di certo questo essere mostruoso vuole ingrassarmi per fare di me un buon boccone” pensò la fanciulla, ma per non intristire il padre si sforzò di mangiare. Avevano appena finito di cenare quando, con un fragoroso ruggito, comparve la Bestia.
Nonostante fosse preparata, alla vista di quella mostruosa figura Bella ebbe un tuffo al cuore, ma fece di tutto per non lasciar trapelare l’orrore e si mostrò cortese.
“Sei venuta qui di tua volontà?” le chiese la Bestia.
“Sì, e sono decisa a restare” rispose lei, senza osare guardarlo in viso. “Ho procurato soltanto guai a mio padre chiedendogli una rosa, ed è giusto che sia io a prendere il suo posto.”
“Sei una fanciulla buona e generosa” disse la Bestia in tono più dolce. Poi si rivolse al padre: “Tu puoi ripartire domattina, perché hai mantenuto la promessa. Vi auguro una buona notte.” Dette queste parole, se ne andò.
Quella notte Bella fece un sogno: le apparve una bellissima signora.
“Non hai da temere nulla” le disse la dama con dolcezza. “La tua bontà sarà ricompensata.” Un po’ rassicurata dal sogno, la mattina Bella lo raccontò al padre prima di separarsi da lui.
I due si abbracciarono a lungo e il mercante partì.
Rimasta sola, la fanciulla raggiunse la sala, dove trovò la tavola apparecchiata; ma la Bestia non c’era. Per ingannare l’attesa la fanciulla pensò di visitare il palazzo. La sua meraviglia fu grande quando, vagando per i corridoi, si trovò di fronte a una porta sulla quale era inciso il suo nome a caratteri d’oro. Bella la aprì ed entrò in un appartamento arredato con grande gusto, con una biblioteca colma di libri.
Corse a prenderne uno e sfogliando la prima pagina lesse:
Questa, mia Bella, è la tua dimora: qui regnerai signora e padrona.
“Ma io non ho altro desiderio che quello di rivedere mio padre” sussurrò Bella. Appena pronunciate queste parole, il suo sguardo cadde su uno specchio, e dentro lo specchio Bella vide la sua casa, il padre che arrivava in quell’istante e le sorelle che gli correvano incontro. Le due fingevano dispiacere per la sorte della sorella, ma si vedeva benissimo che erano contente di essersi finalmente liberate di lei.
Bella si rattristò della loro gelosia, ma fu riconoscente nei confronti del suo guardiano, che la trattava con ogni riguardo, come un’ospite speciale. “Forse la Bestia non desidera uccidermi. Se non avesse buone intenzioni non mi avrebbe circondato di tutte queste meraviglie” si disse, col cuore più leggero, tornando verso la sala. Trascorse tutto il giorno in attesa della Bestia. Visitò ogni stanza, uscì in giardino, suonò il clavicembalo che aveva ricevuto in dono. Ma dell’essere terribile non c’era traccia.
Solo la sera, mentre Bella cenava, la Bestia ricomparve con un gran ruggito. La fanciulla questa volta non ebbe paura, perché intravide un bagliore di tenerezza negli occhi del mostro. “Ti dispiace se rimango mentre stai cenando!” le chiese lui. “Niente affatto” rispose la ragazza. “Sei il padrone di casa, e puoi fare come più ti piace.”
“Non farei nulla che tu non desideri” replicò cortese la Bestia.
“Ma non hai più paura di me? Non mi trovi orrendo!”
“Sì, ti trovo brutto” rispose Bella con coraggio, ricambiando per la prima volta il suo sguardo. “Ma vedo anche che sei molto buono, e ci sono uomini ben più mostruosi di te, perché sotto un bell’aspetto nascondono un cuore falso e cattivo.”
“Bella, vuoi sposarmi?” le chiese allora la Bestia.
“No, non potrei proprio” rispose Bella con sincerità. “Ma ti sarò amica.”
La Bestia si alzò da tavola e la lasciò sola.
I giorni trascorsero sereni per Bella, che cominciò ad apprezzare la sua vita solitaria nel palazzo. Passava le giornate tra lettura, musica e giardinaggio, ed era sempre più impaziente che venisse la sera per rivedere la buona Bestia. Facevano lunghe conversazioni accanto al camino, e più conosceva il suo ospite più si stupiva della sua amabilità e della sua arguzia.
L’unica cosa per cui provava dispiacere è che ogni sera, immancabilmente, lui le chiedeva di diventare sua sposa.
E ogni sera Bella rifiutava.
Un giorno, guardando nello specchio fatato, dove poteva vedere le immagini della sua casa e dei suoi familiari, Bella scoprì che il padre era molto malato: si stava consumando per il dolore di averla perduta.
Quella sera, quando si incontrarono, la Bestia le rivolse la solita domanda: “Bella, mi vuoi sposare?”
Allora Bella rispose: “Amico caro, io non posso diventare tua moglie, anche se provo grandissimo affetto per te e desidero abitare con te. Però oggi, guardando nello specchio, ho visto che mio padre sta male. Lascia che vada a rivederlo per l’ultima volta e ti prometto che tra otto giorni sarò da te per sempre.”
La Bestia allora disse: “Io desidero solo la tua felicità. Prendi questo anello. Mettilo sul tuo comodino questa sera e domattina ti ritroverai a casa tua. Quando vorrai tornare, appoggialo ancora sul comodino e il mattino dopo sarai da me. Non mi dimenticare, Bella, e torna: non potrei più vivere senza di te.”
Bella fece come la Bestia le aveva detto. Il mattino dopo si risvegliò nel letto della casa paterna. Suonò il campanello e accorse la domestica, che per la meraviglia di vederla gridò. Allora il padre si precipitò nella camera e, quasi non credendo ai suoi occhi, baciò e abbracciò la figlia che aveva ormai dato per morta. I due si raccontarono commossi quanto era successo negli ultimi mesi. Le due sorelle si erano sposate, ma erano infelici: una aveva un marito molto intelligente e ricco, che però la disprezzava e la maltrattava; l’altra aveva un marito bellissimo e assolutamente vanitoso, così concentrato su se stesso che la ignorava del tutto.
Bella se ne rattristò molto e nella sua bontà desiderò fare qualcosa per loro. La Bestia le aveva mandato un baule colmo di vestiti bellissimi: lei pensò di regalarne qualcuno alle sorelle, ma non appena tentò di prenderli, il baule sparì. La ragazza capì allora che la Bestia desiderava che lei serbasse ogni cosa per sé.
Quando le sorelle arrivarono a casa, avvertite dal padre del ritorno della più piccola, vollero vedere coi propri occhi com’era ridotta la sorella. Ma nel vederla più bella che mai, vestita e ingioiellata come una regina, quasi scoppiarono dall’invidia. Celando la rabbia, interrogarono la sorella. Appresero che sarebbe rimasta con loro solo per una settimana, perché aveva promesso alla Bestia di fare ritorno a palazzo.
“Guardala, quella sfrontata. Ha incontrato un mostro ricchissimo e ora si dà alla bella vita. Cerchiamo di tenerla qui.” disse la maggiore all’altra. “Se si ferma di più, la Bestia andrà su tutte le furie e magari la punirà con la morte.”
Così la colmarono di coccole e si finsero tanto felici di stare con lei che la fanciulla, commossa, rinviò la partenza di una settimana.
Ma Bella non era contenta. Si tormentava di non aver mantenuto la promessa. Pensava sempre al suo caro mostro, ricordava le sue parole e non vedeva l’ora di rivederlo. Ne sentiva la mancanza. Una notte, poi, fece un sogno che la turbò moltissimo. Sognò che la Bestia era distesa a terra, in riva a un torrente, in fin di vita.
“Sono un’orribile ingrata” si disse, svegliandosi in lacrime. “L’ho ingannato. Sono stata cattiva con lui, che invece è stato così buono con me e mi ha dato la sua fiducia. Voglio tornare da lui e sposarlo. Non sarà bello, ma le mie sorelle sono infelici pur avendo accanto uomini belli. La sua bontà compensa mille volte la sua bruttezza.”
Posò l’anello sul comodino e si riaddormentò.
Il mattino dopo, Bella si ritrovò nel palazzo della Bestia. Scelse il vestito più bello, si adornò i capelli e attese impaziente che venisse la sera per rivedere il suo amato ospite. Ma quando l’orologio batté le nove, la Bestia non comparve. Bella attese, ma lui non venne. Pensando al peggio, visitò tutte le stanze del palazzo, cercandolo. Alla fine lo chiamò e lo chiamò: invano. All’improvviso si ricordò del sogno e corse a cercarlo in giardino. La Bestia giaceva in fondo al viale alberato, accanto al ruscello. “Non morire” gridò Bella, cadendo in ginocchio. Rinfrescò il viso del mostro con l’acqua e lo bagnò con le sue lacrime, e l’essere riaprì gli occhi. “Quanto mi hai fatto aspettare” le sussurrò con un debole sorriso. “Io non potevo più vivere senza di te, ma ora sei qui e posso morire felice.” “No, ti prego” singhiozzò la fanciulla, “non devi morire. Io voglio diventare tua sposa. Io ti amo!”
A quelle parole ci fu un grande bagliore e un rombo di tuono. Per un attimo la luce accecante cancellò l’immagine della Bestia agli occhi di Bella, e quando la fanciulla tornò a vedere, il mostro non c’era più: al suo posto c’era un bellissimo giovane.
“Dimmi, dunque, dov’è la Bestia?” lo supplicò Bella, disperata.
“La Bestia ero io” disse il giovane, alzandosi. “L’incantesimo di un mago mi aveva trasformato in quell’orrendo mostro, e solo l’amore sincero di una fanciulla mi avrebbe salvato. Tu hai fatto il miracolo. Mi vuoi ancora sposare?” Bella accettò con gioia, e il principe continuò: “Una volta, in sogno, ti avevo fatto sapere che la tua bontà d’animo sarebbe stata ricompensata. Tu diventerai una principessa e sarai sempre al mio fianco, e tuo padre vivrà con noi. Quanto alle tue sorelle, la loro invidia e la loro crudeltà meritano una punizione.”
Così le due sorelle furono tramutate in statue, destinate a restare di pietra finché il loro cuore non si fosse sciolto per il pentimento.
Bella sposò il principe e i due vissero nella gioia per molti anni.