Ti ho amato dal primo istante...

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venerdì 29 novembre 2013

Le sei storie delle paroline magiche - SCUSA

L'Avvento è anche un momento per chiarirsi dopo un litigio o una discussione e quale parolina magica occorre dire per fare pace? SCUSA!

Se non volevate fare del male,
oppure la mossa era proprio sleale;
se lo avete fatto apposta,
o vi è scappata una brutta risposta,
per far la pace, datemi retta,
soltanto una è la paroletta.
Per veder la questione conclusa,
dovete imparare a chiedere SCUSA!

Con il pallone Marco è maldestro:
nel vetro di casa ha fatto canestro.
A questa regola deve ubbidire:
"SCUSA papà" e nient'altro da dire! 

A Sabrina non va bene niente;
a volte è anche un po' prepotente.
Se con le amiche vuol tornare a giocare,
a chiedere SCUSA deve proprio iniziare.

Com'è divertente fare il bagnetto!
Ma chi ha esagerato? Ho forse un sospetto ...
Per rimediare ho una proposta:
credo che SCUSA sia la risposta!

Senza volerlo Luca è inciampato
e sul piede del nonno è atterrato.
Anche se non l'ha fatto apposta,
SCUSA rimane la giusta risposta.

Ogni tanto, per troppi capricci,
si può arrivare a grossi bisticci.
Senza cercare chi ha torto o ragione,
chiedere SCUSA è la soluzione.

Anche se non lo vorremmo fare,
talora ci capita di sbagliare.
A volte si litiga e ci si accapiglia
e inizia a urlare l'intera famiglia.

Per fare la pace so la ricetta:
SCUSA è la magica paroletta,
che devon dire grandi e piccini,
dopo che han fatto i birichini.

(Sara Agostini)

Le sei storie delle paroline magiche - GRAZIE

Il periodo di Avvento è un momento di attesa per l'imminente festività del Natale ma dev'essere anche un momento di riflessione sia per grandi sia per piccini. Io, mamma Mi, in questo periodo mi sento di ringraziare con tutto il ♡ Dio per avermi donato una famiglia che mi ama, per avermi donato la salute, per avermi donato un figlio da amare e per darmi la possibilità di vederlo crescere, il mio pastrugno. GRAZIE. ♡

GRAZIE dicono grandi e piccini
a scuola, al lavoro e anche ai giardini.
Per un regalo oppure un piacere,
questa parola non devi tacere.

Se la dimentichi, ecco il riscatto:
GRAZIE, di certo, è il termine adatto.

Guarda che pizza ha fatto papà.
Che bello, che gioia! Hip hip hurrà!
Spesso non c'è parola migliore
di un bel GRAZIE detto di cuore.

Guarda il Sole: con un girotondo,
illumina e scalda l'intero mondo.
Spesso non c'è parola migliore
di un bel GRAZIE detto di cuore.

Col nonno ho fatto il giardiniere,
poi mi ha lasciato fare il pompiere!
Spesso non c'è parola migliore
di un bel GRAZIE detto di cuore.

Finalmente è il mio compleanno:
forse gli amici un regalo faranno.
Spesso non c'è parola migliore
di un bel GRAZIE detto di cuore.

Giulia mi offre le sue caramelle,
fragola, miele: tocco le stelle!
Spesso non c'è parola migliore 
di un bel GRAZIE detto di cuore.

GRAZIE è una piccola e dolce parola,
per esser gentili basta lei sola.
Gracias, thank you, Danke, merci:
credi, il segreto è tutto qui.
Spesso non c'è parola migliore
di un bel GRAZIE detto di cuore.

(Sara Agostini)

giovedì 28 novembre 2013

L'ALBERO DI NATALE

In questi giorni sta terminando il mese di novembre, chi come me e pastrugno risiede in Brianza, è già in periodo di Avvento (con il rito ambrosiano il rito dell'Avvento dura 6 settimane, domenica scorsa è stata la nostra seconda domenica di Avvento, mentre per tutti gli altri che seguono il canonico rito romano, il periodo dell'Avvento inizierà domenica 1° dicembre... ), periodo di attesa alla festa più bella di tutto l'anno: la festa del Natale, la festa in cui si ricorda la nascita di Gesù Bambino. Tutti rendono più bella e accogliente la propria casa addobbandola per le feste, allestendo il presepe e l'albero di Natale. A proposito dell'albero di Natale... ecco una storia che io e il mio pastrugno abbiamo letto l'anno scorso.

LA STORIA DELL'ALBERO DI NATALE



In un remoto villaggio di campagna, la Vigilia di Natale, un ragazzino si recò nel bosco alla ricerca di un ceppo di quercia da bruciare nel camino, come voleva la tradizione, nella notte Santa. Si attardò più del previsto e, sopraggiunta l'oscurità, non seppe ritrovare la strada per tornare a casa. Per giunta incominciò a cadere una fitta nevicata.

Il ragazzo si sentì assalire dall'angoscia e pensò a come, nei mesi precedenti, aveva atteso quel Natale, che forse non avrebbe potuto festeggiare.

Nel bosco, ormai spoglio di foglie, vide un albero ancora verdeggiante e si riparò dalla neve sotto di esso: era un abete. Sopraggiunta una grande stanchezza, il piccolo si addormentò raggomitolandosi ai piedi del tronco e l'albero, intenerito, abbassò i suoi rami fino a far loro toccare il suolo in modo da formare come una capanna che proteggesse dalla neve e dal freddo il bambino.

La mattina si svegliò, sentì in lontananza le voci degli abitanti del villaggio che si erano messi alla sua ricerca e, uscito dal suo ricovero, poté con grande gioia riabbracciare i suoi compaesani. Solo allora tutti si accorsero del meraviglioso spettacolo che si presentava davanti ai loro occhi: la neve caduta nella notte, posandosi sui rami frondosi, che la piana aveva piegato fino a terra. Aveva formato dei festoni, delle decorazioni e dei cristalli che, alla luce del sole che stava sorgendo, sembravano luci sfavillanti, di uno splendore incomparabile.

In ricordo di quel fatto, l'abete venne adottato a simbolo del Natale e da allora in tutte le case viene addobbato ed illuminato, quasi per riprodurre lo spettacolo che gli abitanti del piccolo villaggio videro in quel lontano giorno.
Da quello stesso giorno gli abeti nelle foreste hanno mantenuto, inoltre, la caratteristica di avere i rami pendenti verso terra.


L'albero di Natale è una magia,
cresce felice in compagnia.
Con la famiglia lo vai a comprare
e lui gioioso si fa addobbare.
Luci, nastri e palline,
fiocchi, dolci e stelline ...
Coccolato da te,
lui si sente già un re.
Ma se lo vuoi conquistare,
il girotondo gli devi fare.

martedì 26 novembre 2013

Filastrocca dell'omino di neve

Visto che ... mancano non molti giorni ...
Mamma Mi&Pastrugno iniziano ad augurare a tutti un sereno e lieto Natale, dedicandoVi questa simpatica filastrocca (in questi ultimi giorni il freddo è proprio pungente... e in alcuni posti nevica già da un po'...)♡

Filastrocca dell'omino di neve
ognuno faccia quello che deve.
Gela la neve che scende dal cielo,
gelan le gemme del piccolo melo.
Trema di freddo anche l'omino,
perché è nudo, il poverino.
Prendi un cappello,
anche non bello,
trova una sciarpa 
e forse una scarpa.
Certo un cappotto lo scalderà,
ma stai sicuro non si scioglierà.

 Prossimamente... Mamma Mi&Pastrugno troveranno tante storie natalizie!

lunedì 25 novembre 2013

Indovina chi viene a cena?

«Era anziana, la signora Olga e viveva sola, in cima alla collina.
Era cieca, la signora Olga, ma sapeva benissimo dove si trovavano mestolo e frullatore, basilico e zucchero a velo, noce moscata e carta da forno, perché cucinare era la sua passione.
La signora Olga cucinava tutto il giorno.
A casa sua non c'erano orologi, ma lei sapeva perfettamente quand'era ora di cena perché aveva un udito finissimo, il migliore di tutta la città.
Con l'orecchio appoggiato alla porta, la signora Olga ascoltava i suoi ospiti incamminarsi, arrampicarsi, saltellare, incespicare su per la collina, e così sapeva che era ora di buttare la pasta.
La signora Olga aveva ogni sera un ospite diverso e ogni ospite aveva i suoi passi.
I passi metallici di quella sera ad esempio, erano senz'altro quelli di ...
          ... un uomo di latta!
La signora Olga indovinava sempre.
Anche se ogni sera un nuovo invitato aveva bussato alla sua porta, lei non ne aveva dimenticato nemmeno uno. Ogni ospite le aveva raccontato le sue avventure, le avventure dei suoi amici e addirittura quelle dei suoi conoscenti.
Qualche volta alla signora Olga sembrava di conoscere il mondo intero.
Fra i suoi invitati c'erano stati tre moschettieri, tre uomini in barca, un fantasma e una fanciulla dai capelli turchini.
Una balena bianca le aveva chiesto se poteva nascondersi sotto il tavolo perché dei terribili cacciatori la stavano cercando.
Una sera, mentre attendeva con l'orecchio accostato alla porta, un ragazzino le aveva bussato alla finestra dichiarando che nella sua vita avrebbe fatto tutto, ma proprio tutto sugli alberi e che mai e poi mai sarebbe sceso.
- Va bene, va bene ... - l'aveva tranquillizzato la signora Olga, mentre lui usava un rametto per mangiare il minestrone.
La sera dopo, la signora Olga aveva cucinato degli squisiti spaghetti al ragù, ma il suo ospite, lamentandosi del fatto che nella sua cucina c'erano dei giganti, non li aveva nemmeno assaggiati.
Lei aveva cominciato a mangiare prima che si raffreddassero, mentre il valoroso ospite combatteva furiosamente contro il suo ventilatore.
Un'altra sera, un giovanotto elegante si era presentato col suo ritratto sottobraccio e aveva mangiato di gusto tutto quello che aveva nel piatto. E poi aveva mangiato anche tutto quello che c'era sulla tavola e nel piatto della signora Olga. Aveva chiesto se ce ne fosse ancora.
Ancora, ancora, ancora.
Quando anche il frigorifero della signora Olga fu completamente vuoto, il giovanotto non sembrava ingrassato nemmeno di un grammo. Il suo ritratto invece, era talmente grasso da non entrare più nella cornice. "Strano..." aveva pensato la signora Olga.
- Strano! Fantastico! Spaventoso! - commentava la signora Olga ad ogni racconto dei suoi ospiti.
E ogni sera, a cena finita: - Delizioso! Genuino! Squisito! - commentavano i suoi ospiti.
Ripulivano ben bene i loro piatti e non smettevano mai di raccontare le loro avventure prima di  ...
           ... aver accompagnato la signora Olga a letto e atteso fino a che si fosse addormentata.
Poi, come ogni notte, la porta della signora Olga si richiudeva senza far rumore.
Dietro la stessa porta, sua nipote Nina si infilava le mani in tasca e tornava verso casa.
Non aveva niente con sé, nemmeno un libro.
Non aveva bisogno di libri  perché l'indomani, come ogni giorno, sarebbe tornata in biblioteca e avrebbe cercato di memorizzare ogni dettaglio di una nuova, affascinante storia entro l'ora di cena.
Nina sapeva molto bene che l'udito di nonna Olga era il più fine di tutta la città e che lei avrebbe riconosciuto fin dietro una porta chiusa il rumore di una pagina.
Il lieve fruscio di una pagina che gira, proprio come questa.»   (Eva Montanari)

venerdì 22 novembre 2013

Come nascondere un leone

Visto il tempo uggioso di questa settimana... ecco una storia "calda" trovata con il mio pastrugno in  biblioteca.


Un giorno di gran caldo,
       un leone arrivò in piazza 
              per comprare un cappello.
Ma i cittadini avevano paura dei leoni,
      e lui scappò via.
Cominciò a correre a tutta velocità ...
   ... e arrivò in una casetta nel giardino.
Era la casetta da gioco di un bambino di nome Riccardo.
"Non puoi nasconderti qui" disse Riccardo,
    che non aveva paura dei leoni.
"Questa casetta è troppo piccola per te!"
Andarono in casa, quella vera, così Ricky
   poteva nascondere il leone.Dovevano
fare piano piano, perché forse i suoi
genitori non volevano un leone in casa!
Il leone si fece pulire
   la criniera da Ricky ...
e poi si fece curare la zampa
      che aveva un taglietto.
"Adesso ti metto subito un cerotto" disse Ricky.
   Ma non era facile nascondere 
un leone. Era troppo grande ...
       troppo peloso ...
  ...troppo pesante,
specialmente quando dormiva.
    E i leoni dormono molto.
Ma quando non c'era nessuno, Ricky
       e il leone potevano giocare insieme.
   Dovevano solo stare attenti
a non fare troppo rumore.
          Una sera, il papà di Ricky disse: "Non hanno ancora trovato quel leone."
"Scommetto che è un bravo leone" disse Ricky da dietro il divano.
       "Non esistono leoni bravi" rispose la mamma. "I leoni ti mangiano!"
Il leone era preoccupato
   ma Ricky lo confortò.
Poi Ricky lesse al suo amico la sua storia preferita,
       parlava di un leone in biblioteca.
Il leone si addormentò, perché i leoni dormono molto.
   E qui cominciarono i guai.
Ricky sentì la mamma che saliva le scale,
      ma è difficile
svegliare un leone!
  Comunque, i leoni spesso
si svegliano se una mamma urla!
AARGH!
      Per questo leone scappò di casa ...
... e trovò un nascondiglio da cui poteva vedere Ricky quando veniva in città.
Nessuno lo vedeva, nemmeno Ricky.
        Non lo videro neppure due rapinatori
                     che avevano appena rubato tutta 
                                     l'argenteria del Municipio.
                                                Ma il leone li vide!
              ROAR!
Saltò giù dal suo nascondiglio ...
   ... e acchiappò i due rapinatori fino
  all'arrivo della Polizia.
I cittadini erano esterrefatti.
Tutti tranne Ricky che disse:
"Io l'avevo detto che era un bravo leone!"
Il leone era diventato un eroe. Non doveva più nascondersi.
     Gli abitanti del paese lo portarono in trionfo
e il sindaco disse che poteva chiedere tutto ciò che voleva.

Il leone ci pensò un attimo, 
     e poi chiese ...
  ... un cappello!
In fondo, era venuto in città per questo.

   "Ti sta magnificamente!" disse Ricky.


(ho modificato il nome della storia originale: la protagonista di questa storia era una bimba di nome Iris... ♡ di Mamma Mi... ho sostituito il nome con quello del mio pastrugno adorato! ♡ Non me ne voglia l'autrice Helen Stephens)

Bibo nel Paese degli Specchi



C'era un mondo lontano fatto di paesi separati, ciascuno per conto suo.
Ogni paese era diverso dagli altri ed era un posto chiuso.
Ogni tanto si aprivano le porte dei paesi,
e chi era di qua poteva andare di là e chi era di là poteva andare di qua. E restarci, anche.
Di solito quando i paesi si mescolavano era meglio, dopo. Perché erano più movimentati di prima, erano più vivaci, più colorati.
Ma c'erano anche paesi che non riuscivano proprio a mescolarsi, e ognuno dava un'occhiata all'altro paese sbirciando dalla porta, ma poi restava lì dov'era, com'era prima, com'era sempre stato.

Nel Paese dei Bambini Soli, per esempio,
c'erano tanti bambini diversi.
Giocavano tutto il giorno, tutti i giorni.
Ma dopo un po' questo non bastava.
Perché erano tanti, sì, ma ciascuno era solo.
Forse avevano bisogno di qualcos'altro.
Sì, ma di cosa?

Nel Paese dei Grandi Soli c'erano tanti grandi
che facevano cose interessanti come 
lavorare, parlare, viaggiare.
Ma dopo un po' questo non bastava.
Perché erano tanti sì, ma ciascuno era solo.
Forse avevano bisogno di qualcos'altro.
Sì, ma di cosa?

Nel Paese dei Grandi Soli un uomo e una donna, che si volevano bene, cercavano di capire insieme di che cosa avevano bisogno. Siccome si volevano bene, si dicevano tutti i pensieri che passavano dentro la loro testa. Erano contenti, insieme, ma sentivano che avrebbero  voluto dividere la loro contentezza con qualcun altro.
«Andiamo a chiedere aiuto a Sapiente» propose un giorno la donna.
«Lui sa tante cose. Forse sa anche dirci come si fa a dividere la contentezza, e con chi.»
Sapiente viaggiava spesso da un paese all'altro. Per questo sapeva tante cose di tutti i paesi. Sapiente parlò a lungo con l'uomo e la donna. Fece loro un sacco di domande sui sogni e sui desideri.
Li lasciò chiaccherare di se stessi e della loro vita. Poi li lasciò tranquilli, a pensare. 
E alla fine la donna disse: «Forse desideriamo un bambino». 
E l'uomo rispose:  «Sai, stavo per dirlo io. Desideriamo proprio un bambino». 
Sapiente li guardò, prima la donna poi l'uomo, e disse: «Io vi posso aiutare. Non lontano da qui, nel Paese dei Bambini Soli, ci sono tanti bambini che aspettano qualcuno che si occupi di loro. Per non essere più soli. Sono sicuro che ce n'è uno che aspetta proprio voi due».
«Potremo volergli bene» disse la donna.
«E lui ne vorrà a noi» aggiunse l'uomo.
«Staremo insieme, faremo un sacco di cose e ci divertiremo.»
Sapiente sorrise e disse:  «Vi accompagno io». 
Mentre andavano, si sfilò di tasca una chiave e disse:  «Questa chiave serve per entrare nel Paese dei Bambini Soli. E' speciale. Una volta che saremo là, capirete per conto vostro come e quando usarla».
Nel Paese dei Bambini Soli c'era un bambino che si chiamava Bibo. 
Altri bambini, soli come lui, dicevano: «Eh, una volta io avevo una mamma e un papà, ma poi ci siamo persi».
Bibo, invece, non si ricordava di aver avuto una mamma e un papà, mai.
Ricordava solo di essere sempre stato lì.
Aveva un amico che si chiamava Milo e stavano quasi sempre insieme.
Giocavano, facevano disegni, stavano tranquilli. Si volevano bene.
Bibo era molto curioso e avventuroso.
Ogni tanto se ne andava in giro da solo, a esplorare il suo mondo.
Così un giorno, mentre esplorava, trovò una porta un po' nascosta dall'erba alta. Provò ad aprirla, ma sembrava chiusa a chiave. Provò a spingere forte: niente da fare.
Dall'altra parte c'era il Paese dei Grandi Soli e, proprio al di là di quella porta, c'erano l'uomo e la donna insieme a Sapiente. Insieme sentirono tutti quei rumori di bambino che spinge.
Sapiente disse: «Ascoltate. Di là c'è un bambino coraggioso e avventuroso, che sta cercando di aprire la porta da solo. Secondo me è il bambino giusto per voi. Volete aiutarlo ad aprire?».
Naturalmente sì, lo volevano.
Quando videro che la maniglia della porta si abbassava, l'uomo e la donna capirono che quello era il momento giusto per usare la chiave. Guardarono Sapiente, che annuì e infilò la chiave nella toppa. Insieme, l'uomo e la donna, fecero girare la chiave nella toppa.  E poi, insieme, tirarono la porta stringendo forte la maniglia. Subito non successe niente. Ma erano in due ed erano grandi. E tirarono forte. Fortissimo, perché volevano la stessa cosa. 
Dall'altra parte, Bibo spingeva forte.
Alla fine, con un po' di fatica, la porta si spalancò.
Bibo fece appena in tempo a correre di là che la porta si richiuse alle sue spalle.
Guardò l'uomo e la donna con la sua solita curiosità e disse loro: «Aspettavate qualcuno, per caso?».
«Aspettavamo te» disse la donna con un sorriso.
E guardò l'uomo, che fece sì con la testa.
«Per caso siete la mia mamma e il mio papà?» chiese Bibo. Era una domanda avventurosa, ma lui era un bambino curioso.
E quei due grandi fecero sì con la testa, tutti e due insieme.
Allora Bibo si infilò tra i due e diede loro la mano, una di qua, una di là. Una mano per uno.
Sapiente li guardò con un sorriso e disse: «Andate. Il mondo è vostro».
Adesso che erano in tre, scoprirono che era molto più facile aprire le porte dei paesi. Di tutti i paesi.
Insieme andarono nel Paese dei Baci e delle Coccole, dove impararono un sacco di cose calde e interessanti.
Esplorarono il Paese delle Parole Giuste, che sono le parole per dirsi le cose importanti, quelle che non bisogna mai dimenticare: ti voglio bene, per esempio. Stella, tesoro, cucciolo. Insomma, le parole così.
Viaggiarono nel Paese dei Giochi Giocati, e provarono a farne un sacco, ed erano giochi belli perché si vinceva a turno, una volta io una volta tu, così nessuno si arrabbiava.
E un giorno arrivarono nel Paese degli Specchi. Era un posto fantastico, un po' magico.
Dappertutto la tua immagine ti guardava: di qua e di là, di su e di giù, ovunque ti voltassi.
Fu lì, guardandosi dentro uno specchio e un altro e un altro ancora, che Bibo scoprì una cosa (che noi sappiamo già perché l'abbiamo vista nel disegno di questa storia): che lui era blu e i suoi grandi erano arancioni.
Bibo lo sapeva già che loro erano arancioni, e gli piacevano così, ma non sapeva di essere blu.
E i due grandi sapevano di essere arancioni e che Bibo era blu, ed era una cosa giusta e semplice e naturale, perché per loro era il bambino più bello del mondo.
Ma Bibo ci rimase male. Pianse anche un pochino. E dopo che i suoi grandi l'ebbero consolato con i baci e le coccole che avevano imparato nel Paese dei Baci e delle Coccole, lui disse:  «Uffa. Io volevo essere uguale a voi. Non potevo essere arancione?».
«A noi piaci moltissimo blu come sei» disse la mamma.
«Anche voi mi piacete arancioni» disse Bibo «E' proprio per questo che voglio essere arancione anch'io. Per caso non potete dipingermi?» 
«Se ti dipingiamo di arancione» disse il papà ridendo, «la prima volta che farai la doccia ridiventi blu».
«Allora non mi lavo più!» disse Bibo.

«Ma ci penserà la pioggia a lavarti» disse la mamma con un sorrisetto. «E poi, perché vuoi diventare arancione? Sei così bello tutto blu. Noi ti vogliamo bene blu, non vogliamo che tu sia diverso.»  
«Ma come facciamo  a stare insieme, se siamo così diversi?» chiese Bibo.
«Finché non ti sei visto nello specchio non lo sapevi nemmeno, che eravamo diversi» disse il papà.
«Non è importante. Per volersi bene non serve essere dello stesso colore.»
«Ma perché io sono blu?» chiese Bibo.
La mamma sospirò, lo prese sulle ginocchia e gli disse: «Perché prima di noi tu hai avuto una mamma e un papà blu».
«Ma io non me li ricordo» disse Bibo.
«Però c'erano» disse il papà, e continuò: «Ti hanno fatto nascere, e sei nato bello. Ma, forse, loro non erano capaci di darti i baci e le coccole e le parole giuste e i giochi e tutto il resto».
«Come mai?» chiese Bibo.  «Voi siete così bravi a fare queste cose.»
«Sì» disse la mamma. «Ma quando quella mamma e quel papà erano piccoli, magari nessuno li portava mai nel Paese dei Baci e delle Coccole o in quello dei Giochi Giocati o in quello delle Parole Giuste.» 
«Poverini» disse Bibo, «si sono persi un sacco di cose belle».
La mamma continuò: «E’ vero. E poi non hanno imparato le cose che bisogna fare per far crescere bene un bambino. E allora ti hanno lasciato nel Paese dei Bambini Soli, perché speravano che prima o poi sarebbe successo quello che è successo. Che avresti trovato un’altra mamma e un altro papà, e loro avrebbero trovato te».
«Ma noi siamo diversi» disse il bambino. «Adesso se ne accorgeranno tutti. »
«E allora?» disse la mamma.
«Abbiamo viaggiato in tanti mondi» disse il papà, «e tutti quelli che ci hanno visto non si sono accorti che eravamo diversi. O forse se ne sono accorti, ma non era importante. Non ce l’ha detto nessuno. Hanno visto solo una mamma, un papà e il loro bambino. Soltanto questo ».
«I nostri colori sono diversi» disse la mamma, «ma sono tutti e due belli. Le cose che abbiamo imparato insieme invece sono uguali».
«I baci e le coccole» disse il papà. «Le parole giuste. I giochi giocati. Che sono le cose che piacciono a tutti e tre. Le cose che ci tengono uniti. »
«Ma la mamma e il papà blu dove sono adesso? » chiese Bibo.
«Noi non lo sappiamo» rispose la mamma. «Sappiamo solo quello che ti abbiamo appena detto. Che non erano capaci di occuparsi di te e allora ti hanno lasciato nel Paese dei Bambini Soli. Adesso siamo noi la tua mamma e il tuo papà. E staremo insieme, sempre. »
«Posso chiedervi una cosa?» disse Bibo. «E’ una cosa che penso da tanto tempo. Perché non torniamo nel Paese dei Bambini Soli a salutare il mio amico Milo? Quando vi ho incontrato avevo così fretta di venire con voi, che non mi sono ricordato di tornare indietro a spiegargli che andavo via. Si sarà arrabbiato. Sarà triste per questo…»
La mamma e il papà si guardarono negli occhi, poi dissero: «Va bene».
E i tre partirono per il Paese dei Bambini Soli.
Quando Bibo aprì la porta ed entrò, si accorse subito di una cosa cui non aveva fatto  caso prima: che lì dentro i bambini erano tutti di colori diversi. Non ce n’era uno uguale all’altro.
E si accorse che il suo amico Milo, che se ne stava tutto solo in un angolo, non era blu come lui: era verde.
Bibo andò da Milo e lo abbracciò. Milo lo guardò dritto negli occhi e gli disse: «Si può sapere dov’eri finito? ».
Bibo disse sottovoce, fra sé: «Ecco, l’avevo detto io che si era arrabbiato».
Poi lo abbracciò di nuovo, senza tante parole. E sentì che Milo rispondeva al suo abbraccio. Sistemata questa faccenda, Bibo prese per mano Milo e lo portò nel loro angolo preferito, sotto un albero giallo. Poi gli disse in un orecchio, molto in fretta, tutte le cose che doveva sapere. Che c’erano due grandi arancioni molto speciali che avevano voluto un bambino blu molto speciale, che poi era lui, Bibo. Per quello era andato via così senza dire niente. Perché era successo questo. Che là fuori c’erano un sacco di mondi da conoscere, mondi di parole e di coccole. E anche mondi di specchi di cui non avere paura, perché se si hanno le coccole e i baci e le parole giuste e i giochi giocati si impara a stare insieme. Ed è la cosa più importante. Che forse un giorno sarebbero venuti due grandi, magari arancioni, magari di un altro colore, a cercare un bambino proprio come Milo e a portarlo con sé. Milo fece sì con la testa. I due amici si strinsero forte e si salutarono. Questa volta come si deve. Da lontano, Sapiente guardava la scena.
Dietro una porta, nel paese vicino, un’altra mamma e un altro papà aspettavano il momento giusto per entrare nel Paese dei Bambini Soli.
Forse era proprio Milo il bambino giusto per loro. Ma questa è un’altra storia, e la racconteremo un’altra volta. La nostra storia, che qui finisce e qui continua, è quella di Bibo, che disse addio al Paese dei Bambini Soli e anche al Paese degli Specchi e ripartì per il suo viaggio con la mamma e il papà arancioni.
Un viaggio così lungo che non è ancora finito.
Un viaggio così lungo che non finirà.
(Beatrice Masini, Patrizia La Porta, ediz.CARTHESIA)