Ti ho amato dal primo istante...

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sabato 19 ottobre 2013

IL BUIO E' AFFASCINANTE

 

Dopo aver dormito quasi tutto il giorno, Plop quella sera era molto vispo … vispo e affamato. Si avviò dondoloni sul ramo dell’albero dove stava riposando suo padre, per vedere se per caso lui si fosse già svegliato per andare a caccia.
Papà gufo era disteso immobile: sembrava  quasi che non respirasse.
Plop si avvicinò in punta di piedi e provò a guardarlo in faccia. Che becco adunco e robusto aveva!
“Papà, sei sveglio?” chiamò ad alta voce. “Ho fame.”
Gli occhi di papà gufo non si aprirono, ma il suo becco si mosse.
“Va’ via”, disse il becco. “Sto dormendo.”
Plop ubbidì, ma poi ci ripensò e tornò indietro. “Papà, non puoi essere addormentato! Hai parlato … ti ho sentito.”
“Devi essertelo immaginato”, rispose suo padre senza aprire gli occhi.
“Hai parlato”, disse Plop. “Sei sveglio! Puoi andare a caccia”, e prese a zuccate la pancia del papà. “Su, è ora di alzarsi!”
Papà gufo si stirò con un sospiro. “E va bene, va bene, piccola peste! Che ora è?” Guardò il cielo. “Per tutti i pipistrelli! Non è ancora buio! Potevo dormire un’altra mezz’ora.” Fulminò Plop con lo sguardo. “Oh, insomma! Resterò a letto quanto mi pare. Non mi farò certo costringere da un … da un qualunque uccellino del giorno. Vattene! Devi svegliarmi quando è buio, non prima, hai capito?” E si sporse in avanti fin quasi a toccare con il suo enorme becco quello microscopico del figlio. Plop poteva addirittura vedere due altri piccolissimi Plop riflessi negli occhi del padre.
“Ehm … sì, papà”, mormorò indietreggiando.
“Bravo”, disse suo padre rimettendosi giù a dormire.
Plop rientrò nel nido a piagnucolare dalla mamma. Insonnolita lei cercò di consolarlo. “Tesoro, se fossi in te andrei a scoprire ancora un po’ di mondo”, disse. “Guarda: laggiù c’è una ragazza. Perché non vai a parlare con lei?”
Plop sbirciò tra le foglie. Poco lontano dall’albero c’era qualcuno che indossava lucidi stivali neri e una pelliccia col cappello uguale; aveva anche qualcosa che somigliava ad una barba bianca.
“Non è una ragazza!” strillò Plop. “Quello è Babbo Natale!”
E si staccò dal suo ramo talmente in fretta che si scordò di chiudere gli occhi, o almeno di respirare profondamente.
Atterrò proprio bene, tutto sommato, ma all’ultimo momento perse l’equilibrio e ruzzolò a faccia in giù.
Una mano gentile lo rialzò e lo rimise in piedi.
“Oh, povero ciccio”, disse una dolce, fresca voce. “Va tutto bene?”
Plop alzò subito gli occhi: non sembrava la voce giusta. Quello che vide non era affatto una barba bianca … erano dei capelli biondi.
“Tu non sei per niente Babbo Natale!” esclamò Plop imbronciato. “E dire che io sono sceso apposta!”
“Mi dispiace terribilmente”, si scusò la ragazza.
“E poi io non sono un ciccio. Io sono un gufo.”
La ragazza lo guardò. “Mi è venuta un’idea. Che ne diresti se ti facessi il ritratto? Nel mio album da disegno non c’è nessun gufo.”
“Un ritratto a me?” chiese Plop. “Dici davvero a me?”
“Sì, ti prego. Potresti metterti in posa su quel ramo basso.”
Plop svolazzò sul ramo e si mise impettito sull’attenti. La ragazza si sedette su un tronco e cominciò a disegnare. “Mi porto sempre appresso l’album da disegno nell’eventualità che veda qualcosa d’interessante”, disse.
L’interessante gufetto si drizzò con orgoglio come una sentinella sulla torretta.
Ma non durò a lungo. Quando la ragazza alzò gli occhi dal disegno si accorse che il suo gufo era scomparso.
“Mi fai vedere?” chiese una vocina accanto al suo stivale. Plop dondolava su e giù cercando di sbirciare sull’album.
“Non c’è molto da vedere”, disse lei, “ma … d’accordo, puoi guardare lo stesso.”
E Plop guardò. “Io non sono così pelato!” protestò offeso.
“Non ho ancora finito di rivestirti”, disse la ragazza.
“E poi mi hai fatto una gamba sola.”
“Ho paura che un gufo pelato e con una gamba sola sarà tutto quello che rimarrà, se non stai fermo.”
Dopo di che Plop ce la mise tutta; scese dal ramo soltanto tre o quattro volte per vedere come procedeva.
Quando il disegno fu finito, Plop non riuscì a credere ai propri occhi. “Quello sono davvero io?” chiese. “Sono preciso a papà … be’, quasi.”
“Sì, sei proprio tu”, rispose la ragazza. “Vedi, su un lato dell’album disegno gli animali che escono di giorno, e sull’altro lato metto quelli notturni, Tu stai tra questi, naturalmente.”
“Ehm … naturalmente”, balbettò Plop.
“Tutti gli animali più interessanti sono nel lato tuo”, continuò lei. “Io sono convinta che il BUIO E’ AFFASCINANTE.”
“Io … ehm … parlami del buio”, disse Plop. Vedete, ormai era troppo tardi per avvertirla che l’aveva messo dalla parte sbagliata dell’album!
“Allora salta su”, disse la ragazza tendendogli un dito per prenderlo in braccio. “Ti mostrerò che ti trovi in buona compagnia. Guarda … ecco i tassi.”
Plop osservò i grossi animali bianchi e neri con le strisce lungo il naso. “Hanno una faccia buffa”, disse.
“Così nel buio non si scontrano tra loro”, spiegò la ragazza. “Non ci vedono molto bene.”
Voltò la pagina. “Ah, queste per me sono le creature notturne più affascinanti di tutte: i pipistrelli.”
“Hai messo l’album a rovescio”, disse Plop.
La ragazza scoppiò a ridere. “No, l’ho messo bene! Vedi, quando non svolazzano di qua e di là, ai pipistrelli piace stare così … appesi per i piedi a testa in giù.”
“Ma dai!” disse incredulo Plop.
“Dico sul serio. Devi sapere che se tu fossi un piccolo di pipistrello, tua madre ti porterebbe con sé dappertutto, aggrappato alla sua pelliccetta. Ti faresti delle belle scarrozzate!”
“Oh, come mi piacerebbe”, sospirò Plop.
“Sì, ma una volta diventato troppo grande per essere trasportato, sai che cosa farebbe tua madre? Bene, prima di uscire ti appenderebbe.”
“Mi appenderebbe?” chiese Plop. “A testa in giù?”
“Proprio così. Adesso vediamo chi altro c’è.” La ragazza voltò quache pagina. “Ecco qua … Ehi!” Plop non c’era più. Stava sul ramo ad oscillare avanti e indietro come un acrobata sul trapezio. Ogni tanto si spingeva un po’ troppo, e allora dimenava le ali per riprendere l’equilibrio.
“Che stai facendo?” chiese la ragazza.
“Sto provando a fare il pipistrello”, rispose Plop, “ma non capisco come si comincia. Non riesco a mettermi a testa in giù.”
“Forse è più facile fare il riccio”, disse la ragazza. “Quando è spaventato si arrotola come una palla. Guarda, qui c’è la figura.”
Con un salto Plop le tornò sul ginocchio ed osservò il riccio.
“Ha le piume tutte spettinate!” esclamò.
“Non sono piume, sono aculei. Sono molto utili. Grazie a loro, un riccio riesce a saltare da una grande altezza senza farsi male, perché diventa una palla spinosa e rimbalza.”
“Sono utili davvero”, disse Plop. “Vorrei avere anch’io gli aculei.”
Saltò giù dal ginocchio e provò ad arrotolarsi come una palla. Era difficilissimo. “A quanto pare non sono abbastanza pieghevole”, disse. All’improvviso smise di rotolarsi e rimase immobile ad ascoltare, poi tornò di corsa in braccio alla ragazza cercando di rintanarsi nella sua pelliccia.
“Che è successo?” chiese lei.
“C’è un rumore strano”, sussurrò. “Laggiù.”
La ragazza tese l’orecchio; dalle foglie secche sotto il grosso albero veniva un fruscio incessante.
“Ehi, mi sa proprio che è un riccio!” esclamò. “Sì, eccolo! Guarda!”
Plop sbucò dalla pelliccia e spiò con cautela. Un musetto appuntito si fece largo tra le foglie, poi un animaletto rotondo attraversò di corsa il prato davanti a loro.
“I ricci non si preoccupano mai di non farsi notare”, bisbigliò la ragazza, “perché sanno che nessuno avrebbe il coraggio di mangiare niente di tanto spinoso.”
“Sicuro?” disse Plop. “Ho tanta fame che potrei mangiare qualunque cosa!”
Il riccio si immobilizzò e si arrotolò stretto stretto come una pallina.
La ragazza rimproverò  Plop. “Deve averti sentito. Ti sembra bello quello che hai detto?”
“Però è vero”, disse Plop. “Sto morendo di fame.”
“Oh, è naturale! Adesso che fa buio vai a caccia con i tuoi genitori, no? Mi ero dimenticata che sei un uccello notturno.”
L’uccello notturno si guardò le dita dei piedi.
“Bene, non voglio trattenerti”, continuò lei, “solo … ti dispiacerebbe farmi un favore prima di andartene? Vorrei tanto sentirti gridare.”
A Plop non dispiaceva affatto. Gonfiò il petto in fuori e le dedicò il più grandioso iiik che avesse mai fatto.
“Fantastico!” esclamò la ragazza.
Plop fece il suo buffo inchino, poi spiccò il volo e tracciò qualche cerchio in aria gridando con tutto se stesso, mentre la ragazza lo salutava con la mano.
Dopo un ultimo iiik di addio, Plop volò sopra il suo ramo.
“Allora?” chiese sua madre.
“La ragazza … avevi ragione, sai, era proprio una ragazza … insomma lei dice che il buio è affascinante.”
“E tu che ne pensi, Plop?”
“Che ancora non mi piace PER NIENTE. Ma sapessi! La ragazza mi ha fatto un ritratto.”
“Be’, è straordinario, no?” disse mamma gufo. “A me non lo ha fatto mai nessuno.”
“E poi lei dice che il mio grido è fantastico.”
“Ah, dice così? Io mi chiedevo che cosa fosse tutto quel fracasso.”
“Dov’è papà?” chiese Plop.
“E’ fuori a caccia.”
“Meno male! Sarei capace di mangiare un riccio!”
“Non te lo consiglio”, disse sua madre.

("Il gufo che aveva paura del buio" di Jill Tomlinson)

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